di Salvo Barbagallo
Nelle ultime 24 ore 30 migranti sono morti ed altri 305 sono stati salvati in diversi naufragi di alcuni barconi al largo delle coste libiche. Nelle giornate precedenti seimila profughi sono stati tratti in salvo nelle acque del Canale di Sicilia dalle navi della Marina militare, della Guardia Costiera e delle organizzazioni governative. Sono numeri che non impressionano, sono episodi che non fanno notizia “eclatante”. Morti e salvataggi vanno di pari passo, e pur tuttavia resta un motivo di fondo che dovrebbe essere considerato nella sua valenza: è nel Mediterraneo che si gioca il futuro globale. Questo “futuro” si sta giocando ora, protagoniste le grandi Potenze che non riescono a trovare (o non vogliono?) un equilibrio necessario nella sfida per una leadership mondiale. Anche i Paesi che di certo non sono “grandi” Potenze vanno alla ricerca di un “ruolo” per stare al tavolo delle decisioni.
Molte cose sono cambiate nell’arco degli ultimi dieci anni nell’area del bacino del Mediterraneo, e adesso resta solo una costante: la conflittualità fra le Genti, apparentemente non ci sono più Regole certe per assicurare Pace e convivenza civile.
Ogni società, istituzionalmente costituita, si basa su Regole codificate, il rispetto delle quali permette la convivenza di individui sostanzialmente diversi per formazione culturale e per appartenenza a ceti sociali. Alle Regole devono sottostare tutti, chi le viola automaticamente si pone al di fuori del contesto di una collettività. Con il termine “regola” si intende una norma prestabilita, per lo più codificata e coordinata con altre in un sistema organico. La Regola è, in poche parole, la norma che un gruppo sociale si dà per assicurare la sopravvivenza del gruppo e per perseguire le finalità che lo stesso ritiene preminenti. Le Regole rendono possibile il miglioramento di una società e devono essere applicate, in caso contrario subentra il degrado dei valori che guidano l’individuo.
Sul piano internazionale le Regole che codificano i rapporti fra Paesi, si chiamano Trattati, che i Governi stipulano per fare rispettare interessi reciproci. Nell’area del Mediterraneo da tempo le Regole sono saltate, le autonomie di diverse collettività nazionali sono state sovvertite spesso con la violenza, il più forte domina sul più debole nella logica del profitto da raggiungere con qualsiasi mezzo, senza guardare al danno che si provoca direttamente o indirettamente.
Questo stato di cose, ora come ora, non riguarda, purtroppo, solo i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, ma è esteso globalmente. Oggi non c’è Paese che non debba fare i conti con la propria economia interna, le “rivoluzioni” improvvise non creano nuovi equilibri ma ulteriori, pesanti destabilizzazioni. Alle “primavere” annunciate sono seguiti inverni carichi di dissesti sociali, il verbo coniugato al futuro raramente ha tenuto conto delle difficoltà, individuali e collettive, del presente.
Adesso il quadro che si presenta è a forte tinta oscura e sembra che per la luce non ci sia posto. Il futuro è una meta non visibile, la durata del presente è ignota. Il presente si vive male, i problemi non vengono fronteggiati se non ponendo scadenze per un “dopo” che sicuramente molti non raggiungeranno mai.
Non è una visione pessimistica, quella che stiamo tracciando: è solamente una prospezione nella quale tutti stiamo dentro, e che ha bisogno di apporti concreti per trovare soluzioni immediate, reali e non soltanto possibilistiche.
C’è da chiedersi se in momenti di crisi, in momenti come questi che stiamo attraversando, sia utile operare come nei momenti di tranquillità, di pace. Non stiamo vivendo momenti di pace, non stiamo attraversando un periodo di serenità. Non stiamo attraversando solo un tempo di emergenza: siamo, oltre i limiti dell’emergenza. La sopravvivenza di una società che sta mantenendo sul filo del rasoio e con grande sforzo la sfera del civile, ma che può precipitare nell’abisso del degrado sia a livello individuale, sia a livello collettivo. I segnali di questo stato di cose si avvertono.
Contare i morti annegati nelle acque del Mediterraneo o contare quanti migranti/profughi sono stati salvati non significa nulla là dove manca la volontà “globale” di trovare le giuste ed equilibrate soluzioni, là dove sui migranti/profughi si specula, in un modo o in un altro, senza andare a fondo nel problema che è noto a tutti.
E forse a tutti (?) fa comodo che il “problema” resti “problema”. E non è certo una questione di pseudo “buonismo”…